La tutela del consumatore per abiti difettosi: normativa UE e italiana

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Introduzione

Hai comprato un abito nuovo, magari per un’occasione speciale, ma quando lo provi a casa ti accorgi che è difettoso: una cucitura storta, una zip rotta, o un tessuto danneggiato. Cerchi di riportarlo indietro, ma il negoziante si rifiuta di cambiarlo. Cosa puoi fare? E se invece lo hai comprato online, magari su un sito di seconda mano, valgono le stesse regole? In questo articolo facciamo chiarezza su quali sono i tuoi diritti come consumatore, secondo la legge italiana ed europea.

  1. Quando un abito è “difettoso” secondo la legge

Un abito è considerato difettoso quando non è conforme a quanto promesso dal venditore: ad esempio ha un difetto di fabbrica, è diverso dalla descrizione (colore, taglia, tessuto), oppure non può essere usato per lo scopo normale o promesso.

Questo vale sia per i negozi fisici che per gli acquisti online.

Quando un abito è difettoso secondo il diritto dell’Unione Europea?

Nel diritto dell’Unione Europea, un prodotto è considerato difettoso quando non offre il livello di sicurezza che ci si può ragionevolmente aspettare. Questa definizione vale anche per i capi di abbigliamento, che rientrano a pieno titolo nella nozione di “prodotti” secondo la normativa UE.

La disciplina di riferimento è contenuta principalmente nella Direttiva 85/374/CEE sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi, oggi integrata e rafforzata dal nuovo Regolamento (UE) 2023/988 sulla sicurezza generale dei prodotti.

Cosa si intende per “difettoso”?

Un abito è considerato difettoso quando, ad esempio:

Può provocare danni alla salute del consumatore, come nel caso della presenza di sostanze chimiche vietate (es. coloranti tossici, metalli pesanti o formaldeide);

Comporta rischi non segnalati, come una facile infiammabilità, cuciture che si staccano causando inciampi o esposizione corporea;

È etichettato in modo fuorviante oppure mancano informazioni essenziali, come i materiali utilizzati, le istruzioni per il lavaggio o le avvertenze per soggetti allergici;

Non rispetta gli standard minimi di sicurezza previsti per categorie specifiche, come i vestiti per bambini o per attività sportive.

Cosa viene valutato?

Per stabilire se un prodotto è difettoso, si considerano:

La presentazione del prodotto, comprese le etichette, le istruzioni e le informazioni sul marchio;

L’uso previsto o ragionevolmente prevedibile del prodotto da parte del consumatore medio;

Il momento in cui il prodotto è stato messo in commercio, per tener conto dello stato della tecnica disponibile all’epoca.

 

Quali sono le fonti normative?

Direttiva 85/374/CEE sulla responsabilità da prodotti difettosi;

Regolamento (UE) 2023/988 sulla sicurezza generale dei prodotti;

Regolamento REACH (CE n. 1907/2006), che disciplina le sostanze chimiche vietate nei tessuti;

Eventuali norme nazionali di attuazione e controlli affidati alle autorità di sorveglianza del mercato, come le dogane o le agenzie nazionali per la sicurezza dei consumatori.

 

  1. Cosa puoi fare se il negozio non vuole sostituire l’abito difettoso

La legge italiana (Codice del Consumo, art. 128 e seguenti) ti tutela in modo chiaro:

Hai diritto a una sostituzione gratuita o alla riparazione dell’abito, entro 2 anni dall’acquisto, ma solo se trattasi di un difetto congenito del prodotto, e su cui non ci sono dubbi concernenti l’attribuzione. Se il difetto dipende da una condotta errata del proprietario c’è poco da dimostrare.

Se il venditore non vuole collaborare, puoi chiedere una riduzione del prezzo o il rimborso completo.

Il problema va segnalato entro due mesi da quando lo scopri.

✅ Importante: non serve che il difetto si veda subito. Se dopo qualche settimana noti che la cucitura si apre, sei comunque tutelato.

 

  1. Gli step pratici da seguire

Conserva lo scontrino o una prova d’acquisto.

Scrivi o torna in negozio spiegando il problema (meglio se con una foto).

Se il negoziante rifiuta, puoi:

Rivolgerti a un’associazione di consumatori

Attivare una procedura di conciliazione

Oppure, come ultima soluzione, andare dal giudice di pace 

 

  1. E se hai comprato l’abito online?

In caso di acquisto online, le tutele sono ancora più forti, grazie alle norme europee sul commercio a distanza.

Hai 14 giorni per cambiare idea e restituire l’abito anche se non è difettoso (diritto di recesso), senza dover dare spiegazioni.

Se invece è difettoso, valgono le stesse regole dei negozi fisici: diritto a sostituzione, riparazione, rimborso o riduzione del prezzo.

Se il venditore non rispondeva, fino a pochi mesi fa si poteva usare la piattaforma ODR dell’Unione Europea per risolvere la controversia online: https://ec.europa.eu/odr

Solo che al momento la piattaforma è stata archiviata. La piattaforma europea di risoluzione delle controversie online (ODR) sarà interrotta a partire dal 20 luglio 2025, in seguito all’adozione del regolamento – UE – 2024/3228 – IT – EUR-Lex. Si può utilizzare la piattaforma fino al 19 luglio 2025, ma non si possono più presentare nuovi reclami.

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento 2024/3228/UE, tutte le informazioni degli utenti, compresi i dati personali, saranno cancellate al più tardi il 20 luglio 2025.

 

Scadenze importanti

20 marzo 2025: ultima data utile per presentare nuovi reclami sulla piattaforma ODR.​

19 luglio 2025: termine ultimo per accedere alla piattaforma e scaricare i propri dati.​

20 luglio 2025: tutti i dati presenti sulla piattaforma, compresi quelli personali, saranno definitivamente cancellati.

 

🔄 Cosa accadrà dopo la chiusura della piattaforma ODR?

Dopo la dismissione della piattaforma ODR, i consumatori potranno continuare a risolvere le controversie con i venditori attraverso organismi di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) certificati. La Commissione europea sta lavorando per migliorare l’accessibilità e l’efficacia di questi meccanismi, anche mediante l’adozione di nuove direttive che estendono l’ambito di applicazione delle procedure ADR e introducono strumenti digitali interattivi per facilitare la risoluzione delle controversie.

Per ulteriori dettagli e aggiornamenti sulla risoluzione delle controversie dei consumatori, puoi consultare il sito ufficiale della Commissione europea dedicato alla risoluzione online delle controversie:https://ec.europa.eu/consumers/odr/main/index.cfm?event=main.home2.show&lng=IT

 

  1. Abiti usati acquistati online: cosa cambia?

Se compri un abito usato su una piattaforma online, la tutela dipende da chi vende:

Se compri da un’azienda (es. negozio vintage online o marketplace professionale): hai gli stessi diritti di chi compra un capo nuovo.

Se compri da un privato (es. su Vinted, Depop, Facebook Marketplace): non vale il Codice del Consumo. In quel caso si applicano le regole del Codice Civile, e la responsabilità del venditore è molto più limitata.

ℹ️ Consiglio: leggi sempre le condizioni di vendita e cerca venditori che offrano garanzie o recensioni positive, stando attento a recensioni false e pompate.

 

  1. Riferimenti normativi

Direttiva UE 2019/771 – obblighi di conformità dei beni (valida per tutti i Paesi UE)

Regolamento UE 524/2013 – per risolvere le controversie online

Codice del Consumo italiano (D.lgs. 206/2005), articoli 128-135

D.lgs. 170/2021 – ha aggiornato le regole sulla garanzia dei beni

 

Conclusione

Che tu abbia comprato in boutique o online, la legge è dalla tua parte: se l’abito è difettoso, il venditore deve trovare una soluzione. E se non lo fa, puoi far valere i tuoi diritti in modo semplice e spesso gratuito. Conoscere le regole è il primo passo per far valere i propri diritti, anche quando si tratta solo di una zip che non si chiude.

La Disciplina dell’Aborto negli Stati Uniti: Evoluzione, Competenza Federale e Regolamentazioni Statali

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La Disciplina dell’Aborto negli Stati Uniti: Evoluzione, Competenza Federale e Regolamentazioni Statali

Introduzione

Negli ultimi anni, il panorama giuridico statunitense in materia di aborto ha subito trasformazioni rilevanti. La storica sentenza Roe v. Wade ha definito per quasi cinque decenni il diritto all’aborto nel paese, ma con la decisione della Suprema Corte nel caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization del giugno 2022, si è inaugurata una nuova fase in cui la competenza normativa è tornata nelle mani degli Stati federali. Il presente articolo analizza in maniera dettagliata la cornice giuridica, il cambiamento di competenza legislativa e le recenti evoluzioni normative, soffermandosi sulle restrizioni e le condizioni stabilite nei vari Stati.

Il Quadro Normativo Precedente e la Struttura Federale del Sistema Giuridico

La Storica Sentenza Roe e la Sua Decostruzione

Fino al 2022, la giurisprudenza statunitense aveva riconosciuto il diritto all’aborto come parte integrante della sfera della privacy personale e della libertà individuale. La sentenza Roe v. Wade del 1973, pur se oggetto di continuo dibattito, garantiva una tutela costituzionale che faceva capo al diritto alla riservatezza, consentendo alle donne di decidere autonomamente in merito all’interruzione di gravidanza. Tuttavia, la decisione successiva della Suprema Corte nel caso Dobbs ha ribaltato questo paradigma, affermando che il legislatore federale non possiede competenza in materia, lasciando agli Stati l’onere di regolamentare l’accesso all’aborto in base ai propri valori e contesti sociali.

Competenze e Decentramento Normativo

Con il ritorno della regolamentazione nelle mani degli Stati, la materia dell’aborto si configura come un ambito di competenza esclusivamente statale. Ciò significa che non esiste una normativa federale uniforme, ma un mosaico normativo in cui ciascun Stato adotta criteri e limiti specifici. Dal punto di vista giuridico, la questione si articola lungo due direttrici principali:

  • Tutela dei Diritti Fondamentali: Alcuni Stati hanno introdotto o mantenuto norme che tutelano il diritto all’autonomia riproduttiva, garantendo l’accesso all’aborto in determinate condizioni, anche con regolamentazioni procedurali per salvaguardare la salute pubblica.
  • Restrizioni e Limitazioni: Altri Stati, invece, hanno adottato misure restrittive che ne limitano fortemente l’esercizio, giustificandosi con argomenti di tutela della vita prenatale e della morale pubblica.

La decisione Dobbs ha dunque sottolineato come il principio di sussidiarietà nel sistema federale possa generare disparità normative significative, mettendo in rilievo il ruolo strategico dei governi statali nell’elaborazione di politiche in ambito sanitario e sociale.

Evoluzioni Negli Ultimi Tre Anni: Restrizioni e Promozioni del Diritto all’Aborto

Le Limitazioni Imposte

Nel triennio successivo alla decisione Dobbs, alcuni Stati hanno incrementato le restrizioni sull’aborto. Tra le principali misure adottate si evidenziano:

  • Restrizioni su Tempistiche e Motivazioni: Numerosi Stati hanno fissato limiti temporali stringenti, riducendo il periodo in cui l’interruzione di gravidanza può essere legalmente effettuata. In alcuni ordinamenti, la procedura è consentita soltanto in presenza di gravi anomalie fetali o rischi per la vita della gestante.
  • Obblighi Informativi e Convinzioni Mediche: Alcuni Stati hanno introdotto obblighi di consulenza informativa e periodi di riflessione obbligatori, oltre a imporre requisiti particolari ai medici, come la necessità di rispettare linee guida mediche che potenzialmente ostacolano l’accesso al servizio.
  • Effetti sulla Giurisdizione Locale: Tali restrizioni sono state spesso il risultato di legislazioni approvate da maggioranze politiche conservatrici all’interno degli Stati, che hanno fatto leva su posizioni tradizionali e interpretazioni restrittive del concetto di “vita” giuridicamente protetta.

Fonti quali il Guttmacher Institute e analisi pubblicate da testate specializzate come The New York Times hanno documentato come questi interventi legislativi abbiano ridotto sensibilmente la possibilità di accesso all’aborto in Stati quali il Mississippi, il Texas e l’Oklahoma, creando un contesto giuridico segmentato e in continua evoluzione.

Gli Stati che Hanno Mantenuto o Rafforzato il Diritto all’Aborto

Parallelamente, esistono Stati che hanno adottato misure volte a tutelare e persino ampliare il diritto all’aborto. Le misure principali includono:

  • Norme Protettive e Accesso Garantito: In alcuni Stati, in particolare in quelli con tradizioni politiche più liberali come la California, New York e il Massachusetts, sono state promulgate leggi che non solo preservano il diritto all’aborto, ma ne ampliano le garanzie, includendo finanziamenti pubblici per l’accesso e programmi di assistenza per le donne.
  • Limiti Minimi sulle Restrizioni Procedurali: Tali Stati hanno optato per criteri regolatori meno restrittivi, eliminando obblighi di consulenza non richiesti e limitando l’imposizione di vincoli temporali e procedurali. Ciò si traduce in un quadro normativo che mira a garantire un accesso rapido e sicuro all’interruzione di gravidanza.
  • Politiche di Inclusione e Prevenzione: Oltre a garantire il diritto stesso, alcune normative statali includono misure di educazione sessuale e prevenzione, mirate a ridurre l’incidenza di gravidanze non pianificate.

L’analisi comparata di questi Stati rivela come, in un contesto di forte polarizzazione politico-ideologica, il diritto all’aborto si configuri come un indicatore di tendenze elettorali e culturali differenti a livello nazionale.

Implicazioni Giuridiche e Socio-Politiche

Il Ruolo dei Tribunali e dell’Interpretazione Costituzionale

La recente evoluzione normativa ha posto i tribunali statali in una posizione di rilievo, dato che la giurisprudenza locale è chiamata a interpretare e applicare leggi in materia di diritti riproduttivi. Questa dinamica ha generato una serie di controversie che spaziano dalla definizione di “vita” ai limiti del potere regolamentare dei singoli Stati. La complessità dell’argomento richiede una analisi attenta dei principi costituzionali di uguaglianza, dignità umana e tutela della salute pubblica, elementi che continuano a essere oggetto di dibattito sia in ambito accademico che giurisprudenziale.

L’Impatto Socio-Economico delle Restrizioni

Le restrizioni normative sull’aborto non si limitano ad avere ripercussioni sul diritto individuale alla salute e all’autonomia, ma incidono profondamente anche sul tessuto socio-economico. In particolare, si osserva come:

  • Accesso Disparitario ai Servizi Sanitari: Le barriere legislative in determinati Stati possono limitare l’accesso a servizi essenziali, specialmente in aree a bassa densità abitativa dove i centri medici specializzati sono rari.
  • Implicazioni per la Mobilità Giurisdizionale: Le difficoltà legali e logistiche possono spingere molte donne a spostarsi verso Stati che garantiscono maggiori tutele, generando fenomeni di “turismo sanitario” e sollevando interrogativi circa l’equità territoriale.
  • Effetti Sul Diritto Comparato: Il quadro normativo statunitense, con la sua varietà di approcci, offre un interessante caso di studio per il diritto comparato, evidenziando le interconnessioni tra scelte politiche, interpretazioni costituzionali e dinamiche culturali.

Ecco una panoramica aggiornata a ottobre 2023 sugli stati degli USA che mantengono il diritto all’aborto, le loro normative e i limiti gestazionali. Dopo la sentenza Dobbs v. Jackson (2022), che ha abolito il diritto federale all’aborto, gli stati hanno legislazioni molto diverse:

Stati con protezione costituzionale o legale dell’aborto

Questi stati hanno leggi che garantiscono esplicitamente il diritto all’aborto, spesso senza restrizioni fino alla viability fetale (circa 24 settimane) o oltre, con eccezioni per la salute della donna:

  1. California
    • Legge: Aborto consentito fino alla viability (circa 24-26 settimane), e oltre se la salute della donna è a rischio.
    • Note: Approvato un emendamento costituzionale (2022) per proteggere esplicitamente il diritto all’aborto.
  2. New York
    • Legge: Consentito fino a 24 settimane; oltre, solo per salvare la vita o la salute della donna.
    • Note: Legge del 2019 (Reproductive Health Act) che rimuove l’aborto dal codice penale.
  3. Illinois
    • Legge: Fino alla viability, con eccezioni per la salute.
    • Note: “Stato rifugio” per donne di stati con divieti (es. Texas, Missouri).
  4. Colorado
    • LeggeNessun limite gestazionale (aborto legale a tutte le fasi della gravidanza).
    • Note: Approvata una legge nel 2022 che codifica il diritto all’aborto senza restrizioni.
  5. Vermont e Oregon
    • Legge: Aborto garantito senza limiti di tempo, con protezione costituzionale (Vermont ha emendato la sua costituzione nel 2022).

Stati con leggi permissive ma con restrizioni

Consentono l’aborto, ma con limiti gestazionali o requisiti aggiuntivi (es. consulenza obbligatoria, attesa 24-72 ore):

  1. Virginia
    • Legge: Consentito fino a 26 settimane e 6 giorni; oltre, solo per salute della donna.
  2. Minnesota
    • Legge: Fino a 24 settimane (viability), oltre solo per emergenze mediche.
    • Note: Nel 2023, il governatore ha firmato una legge che protegge il diritto all’aborto.
  3. New Jersey
    • Legge: Consentito fino alla viability, con eccezioni successive per salute.

Stati con divieti o restrizioni severe

In molti stati del Sud e del Midwest, l’aborto è vietato o consentito solo in casi eccezionali (stupro, incesto, pericolo di vita). Esempi:

  • Texas: Divieto quasi totale (solo per salvare la vita della donna).
  • Alabama, Oklahoma, Tennessee: Divieti totali, senza eccezioni per stupro o incesto.
  • Florida: Consentito fino a 15 settimane (in attesa di una sentenza sulla costituzionalità).

Mappa riassuntiva dei limiti gestazionali

Stato Limite generale Eccezioni
California viability (24+ sett.) Salute della donna
New York 24 settimane Salute della donna
Colorado Nessun limite
Virginia 26 settimane e 6 gg Salute della donna
Minnesota 24 settimane Emergenze mediche
Michigan* 24 settimane Salute della donna (legge bloccata in tribunale)

*Michigan ha un divieto pre-Roe ancora tecnicamente in vigore, ma sospeso da un giudice nel 2022.

Tendenze recenti (2023)

  • Ohio: A novembre 2023, un referendum ha approvato un emendamento costituzionale per proteggere l’aborto fino alla viability.
  • Kansas: Nel 2022, gli elettori hanno respinto un referendum per rimuovere la protezione costituzionale dell’aborto.
  • North Carolina: Nel 2023, una nuova legge ha ridotto il limite da 20 a 12 settimane, con eccezioni limitate.

 

Conclusioni

L’evoluzione della disciplina dell’aborto negli Stati Uniti rappresenta un esempio emblematico di come il sistema federale consenta dinamiche normative fortemente decentrate e rispecchi le tensioni tra valori tradizionali e principi di libertà individuale. La decisione della Suprema Corte nel caso Dobbs ha modificato radicalmente il panorama giuridico, trasferendo l’onere regolamentare agli Stati e generando un mosaico legislativo in cui le garanzie del diritto all’aborto variano significativamente.

Per i giuristi, gli operatori del diritto e i cittadini, comprendere queste dinamiche è fondamentale per interpretare le implicazioni giuridiche e socio-politiche che ne derivano, nonché per valutare le prospettive future in un contesto di continua evoluzione normativa.

Fonti attendibili quali il Guttmacher Institute e pubblicazioni di testate come The New York Times e Reuters offrono ulteriori approfondimenti e dati statistici che supportano l’analisi qui presentata, costituendo un valido punto di riferimento per ulteriori studi e confronti.

 

10 aprile 2025 

Dott.ssa Luana Fierro
Articolo redatto con il supporto di ChatGPT, un modello linguistico sviluppato da OpenAI,
pertanto non può essere usato come fonte attendibile.
Trattasi di un mio esperimento con l'AI.

The Global Patchwork of AI Regulation: A Comparative Analysis of DeepSeek Blockades

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Introduction
The rapid evolution of artificial intelligence (AI) has sparked a global debate about its governance, balancing innovation with ethical, legal, and societal risks. Among the AI platforms drawing regulatory scrutiny is DeepSeek, a Chinese-developed AI system lauded for its advanced capabilities in data analysis and natural language processing. However, its proliferation has encountered resistance, with several states imposing restrictions or outright bans. This article examines the legal and policy frameworks underpinning these blockades, offering a comparative perspective on how divergent regulatory philosophies shape the global AI landscape.

 

1. China: Sovereignty and Controlled Innovation
As DeepSeek’s country of origin, China’s approach reflects its broader strategy of *state-centric AI governance*. While the platform operates domestically, its international reach is constrained by China’s own regulatory exports. The 2021 *Data Security Law* and 2022 *Algorithmic Recommendations Management Provisions* mandate strict compliance with national security and socialist core values. Foreign access to Chinese AI tools is often limited by reciprocal data localization requirements and fears of extraterritorial data access. Paradoxically, China promotes AI innovation domestically while restricting cross-border data flows, creating a “walled garden” for its technologies.

2. The European Union: Privacy and Fundamental Rights
The EU has emerged as a leader in *rights-based AI regulation*. DeepSeek’s alleged data practices—particularly its opaque training data sources—clash with the General Data Protection Regulation (GDPR). Concerns about non-compliance with data minimization, purpose limitation, and user consent have led several EU member states to restrict DeepSeek’s accessibility. The upcoming *AI Act*, which categorizes AI systems by risk levels, may further complicate DeepSeek’s operations, as its general-purpose AI designation could trigger stringent transparency and accountability requirements.

3. The United States: National Security and Sectoral Fragmentation
U.S. restrictions on DeepSeek stem from national security anxieties rather than a unified regulatory framework. The Committee on Foreign Investment in the United States (CFIUS) has scrutinized partnerships involving DeepSeek, citing risks of data exploitation and ties to the Chinese government. Sector-specific bans, such as in defense or critical infrastructure, align with the U.S.’s ad hoc, sectoral regulatory model. Meanwhile, the lack of federal AI legislation creates ambiguity, leaving states like California to pioneer stricter rules on data transparency.

4. India and the Global South: Digital Sovereignty in Action

India’s 2021 IT Rules and push for data localization exemplify a growing trend among Global South nations to assert digital sovereignty. DeepSeek’s perceived opacity in handling Indian user data, coupled with geopolitical tensions, led to its inclusion in a 2023 list of restricted foreign apps. Similarly, countries like Vietnam and Indonesia have invoked cybersecurity laws to limit AI platforms that fail to establish local data centers or comply with content moderation mandates.

5. Authoritarian Regimes: Control Over Information Flows
States like Iran and Saudi Arabia have blocked DeepSeek under broader internet censorship regimes. Here, the rationale centers on information control: AI systems capable of generating or analyzing unrestricted content threaten state narratives. DeepSeek’s potential to bypass language-specific censorship tools has heightened these concerns, prompting preemptive bans.


Comparative Analysis: Divergent Philosophies, Common Threads

  • Legal Foundations:
    • Civil Law Systems (EU, China): Codified statutes prioritize state or individual rights.
    • Common Law Systems (U.S., India): Case law and regulatory agencies drive enforcement.
  • Motivations:
    • Security: U.S. and India emphasize geopolitical risks; China focuses on domestic stability.
    • Rights: The EU prioritizes privacy; authoritarian states suppress dissent.
    • Economic Sovereignty: Data localization laws in India and Vietnam aim to nurture domestic tech sectors.
  • Enforcement Mechanisms:
    • The EU employs centralized oversight (e.g., European Data Protection Board).
    • The U.S. relies on CFIUS and executive orders.
    • China combines legislative mandates with Communist Party oversight.

Implications for International Law and Governance
The fragmented regulatory landscape raises critical questions:

  • Jurisdictional Conflicts: Can states enforce AI regulations extraterritorially? GDPR-style fines for non-EU companies set a precedent, but compliance remains inconsistent.
  • Trade Tensions: Restrictions on AI tools may violate WTO agreements if deemed disproportionate trade barriers.
  • Ethical Fragmentation: Without harmonized standards, AI developers face conflicting demands, stifling global collaboration.

Conclusion: Toward a Coherent Framework?
The blockade of DeepSeek underscores a broader dilemma: how to regulate borderless technologies within sovereign legal systems. While the EU’s risk-based model and China’s state-control approach represent opposing poles, middle-ground solutions are emerging. Initiatives like the OECD’s AI Principles and the Global Partnership on AI (GPAI) hint at potential convergence. Yet, as states prioritize sovereignty and security, the path to a unified regulatory regime remains fraught. For now, DeepSeek’s fate serves as a microcosm of the tensions defining 21st-century tech governance—a contest between innovation and control, played out on a fractured global stage.

Dott.ssa Luana Fierro

Artificial Intelligence and Sensitive Data

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Artificial Intelligence and Sensitive Data: A Dialogue Between Innovation, Law, and Vulnerability

The advent of artificial intelligence (AI) applications has redefined the boundaries of technology, economics, and, not least, law. These systems, powered by unprecedented amounts of data, promise efficiency, personalization, and innovative solutions to complex problems, from healthcare to smart city management. However, at the core of their functionality lies a crucial paradox: to provide increasingly sophisticated services, AI needs to access, process, and store information that is often classified as “sensitive” – biometric data, political or religious preferences, health conditions, sexual orientation, and more.

This interplay between technological progress and privacy protection raises legal and ethical questions of global significance. On the one hand, national and supranational legislations attempt to curb the risks of misuse, leveraging tools such as the GDPR in Europe or the CCPA in the United States. On the other hand, the relentless dynamism of AI challenges the static nature of regulations, creating tensions between innovation, fundamental rights, and collective security.

The issue, however, is not merely regulatory. The collection and use of sensitive data by AI call into question the very notion of individual autonomy: to what extent are users aware of the implications of surrendering their data? How can transparency be ensured in increasingly opaque (“black box”) algorithms? And, above all, how can we balance commercial interests, social utility, and the protection of vulnerable minorities, who are often subjected to systemic discrimination perpetuated precisely by AI systems?

AI Systems and Personal Data: Regulatory Principles and Frameworks in the EU and the U.S.

The use of personal data by artificial intelligence (AI) systems raises critical questions about privacy, accountability, and ethical governance. Below, we analyze the core principles and legal frameworks governing this issue in the European Union (EU) and the United States (U.S.), drawing on official sources.


I. Foundational Principles for AI and Personal Data

AI systems processing personal data must adhere to principles established in international and regional frameworks. Key principles include:

  1. Lawfulness, Fairness, and Transparency
    • Data processing must have a legal basis (e.g., consent, contractual necessity) and be transparent to users (GDPR, Art. 5(1)(a)).
    • AI decisions affecting individuals must be explainable (EU AI Act, Art. 13).
  2. Purpose Limitation
    • Data collected for specific purposes (e.g., fraud detection) cannot be repurposed without consent (GDPR, Art. 5(1)(b)).
  3. Data Minimization
    • Only data strictly necessary for the AI’s function should be collected (GDPR, Art. 5(1)(c); U.S. FTC Guidelines, 2023).
  4. Accuracy
    • Systems must ensure data accuracy and allow corrections (GDPR, Art. 5(1)(d); NIST AI Risk Management Framework).
  5. Storage Limitation
    • Data retention periods must be justified (GDPR, Art. 5(1)(e)).
  6. Integrity and Confidentiality
    • Robust security measures are required to prevent breaches (GDPR, Art. 5(1)(f); U.S. Health Insurance Portability and Accountability Act (HIPAA)).
  7. Accountability
    • Organizations must demonstrate compliance with the above principles (GDPR, Art. 5(2); U.S. Executive Order on Safe AI).

II. European Union: The GDPR and the AI Act

The EU’s approach combines strict data protection rules with emerging AI-specific regulations.

  1. General Data Protection Regulation (GDPR)
    • Scope: Applies to all entities processing EU residents’ data, regardless of location (Art. 3).
    • Key Provisions:
      • Consent: Must be explicit, informed, and revocable (Art. 7).
      • Automated Decision-Making: Individuals have the right to opt out of decisions made solely by AI (Art. 22).
      • Data Protection Impact Assessments (DPIAs): Required for high-risk AI systems (Art. 35).
    • SourceGDPR Full Text.
  2. EU AI Act (2024)
    • Risk-Based Classification: Prohibits AI systems posing “unacceptable risk” (e.g., social scoring) and imposes strict requirements on “high-risk” AI (e.g., hiring algorithms) (Art. 5).
    • Transparency Obligations: Users must be informed when interacting with AI (Art. 52).
    • SourceEU AI Act Provisional Agreement.
  3. Enforcement
    • Supervised by national Data Protection Authorities (DPAs) and the European Data Protection Supervisor (EDPS).
    • Penalties: Up to 4% of global turnover for GDPR violations (Art. 83).

III. United States: Sectoral Laws and Emerging Frameworks

The U.S. lacks a comprehensive federal data protection law but regulates AI through sectoral laws and voluntary guidelines.

  1. Existing Laws
    • Federal Trade Commission Act (FTC Act): Prohibits “unfair or deceptive practices,” including misuse of personal data by AI (Section 5).
    • California Consumer Privacy Act (CCPA): Grants Californians rights to access, delete, and opt out of the sale of their data (amended by CPRA, 2023).
    • Health Data: HIPAA regulates AI in healthcare, requiring anonymization and patient consent.
  2. Proposed Federal Legislation
    • Algorithmic Accountability Act (2023): Requires impact assessments for AI systems in housing, employment, and healthcare.
    • AI Bill of Rights (2022): Non-binding framework emphasizing:
      • Safe and effective systems.
      • Protection against algorithmic discrimination.
      • Transparency and explainability.
      • SourceWhite House AI Bill of Rights.
  3. Agency Guidelines
    • NIST AI Risk Management Framework (2023): Voluntary standards for managing AI risks, including data privacy.
    • FTC Enforcement: Recent actions against companies like Amazon and OpenAI for data misuse.

IV. Comparative Analysis: EU vs. U.S.

Aspect European Union United States
Regulatory Approach Comprehensive (GDPR + AI Act) Sectoral + state-level laws
Consent Requirements Explicit and granular (GDPR) Varies by state (e.g., CCPA)
AI Transparency Mandatory (AI Act) Voluntary (NIST Framework)
Enforcement Centralized (DPAs) + heavy fines FTC litigation + state-level penalties
Focus Fundamental rights and prevention Innovation + mitigating harm ex-post

V. Challenges and Criticisms

  • EU: Overly restrictive rules may stifle innovation (e.g., AI Act’s “high-risk” classification).
  • U.S.: Fragmented laws create compliance complexity (e.g., CCPA vs. Virginia’s CDPA).
  • Global Tensions: Cross-border data transfers (e.g., EU-U.S. Data Privacy Framework) remain contentious.

Suggested Citations for Legal Texts:

  • EU GDPR: Regulation (EU) 2016/679.
  • EU AI Act: COM/2021/206 final.
  • U.S. AI Bill of Rights: White House Office of Science and Technology Policy (2022).
Dott.ssa Luana Fierro
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privacy law

Data breach e viaggiatori. Colpito un colosso del turismo

Il settore alberghiero è tra quelli maggiormente esposti al rischio di data breach in quanto tratta grandi quantità di dati personali, che gli ospiti non possono fare a meno di fornire se intendono soggiornare all’interno di determinate strutture.

 

E’ pertanto necessario che tutte le strutture del settore recettivo, che trattano i dati personali dei viaggiatori, adottino tutte le misure necessarie a garantire la tutela e la protezione di tali dati.

In tutti i casi è indispensabile che chi gestisce i dati personali all’interno di questo settore, così come in altri settori delicati, li conservi utilizzando strumenti adeguati, e consideri che da piccole mancanze potrebbero derivare pesanti sanzioni imposte dai vari Garanti operanti negli Stati in cui operano, ma anche richieste di risarcimento proposte dai soggetti vittime delle perdite, delle sottrazioni e delle diffusioni dei dati.

Il 30 novembre è stato reso noto quello che è stato definito da molti il più grande data breach del settore del turismo, ma anche della storia. Trattasi di un incidente che ha coinvolto Marriott International, colosso del turismo statunitense, composto da 30 brand e più di 6.700 proprietà in 130 Paesi e territori.

Un attacco hacker ha colpito il database delle prenotazioni della catena di alberghi, la quale tramite una nota ha spiegato che un dispositivo di sicurezza interno ha segnalato un tentativo di accesso al database Marriott.

Nello specifico, c’è stato un tentativo di accesso non autorizzato al database, che conteneva i dati degli ospiti che hanno effettuato prenotazioni presso le strutture di Starwood l’8 settembre 2018 e forse in precedenza, probabilmente a partire dal 2014.

Al fine di rimediare all’accaduto, il Gruppo ha dichiarato di aver adottato misure per indagare sull’accaduto e per occuparsi dell’incidente. In primis Marriott ha richiesto l’intervento degli esperti di sicurezza incaricati affinché potessero indagare sull’accaduto e comprendere le dinamiche che avevano portato all’accesso non autorizzato, i quali hanno scoperto che una parte non autorizzata aveva copiato e cifrato le informazioni, e poi adottato misure per eliminarle.

Il 19 novembre 2018, Marriott è stato in grado di decifrare le informazioni ed ha determinato che i contenuti provenivano dal database per le prenotazioni degli ospiti di Starwood.

Dalle dichiarazioni rese dal Gruppo Marriott emerge che il quantitativo di dati “trafugati” è enorme.  Sono i dati di circa 383 milioni di ospiti ad essere stati sottratti, anche se questo non significa che siano stati coinvolti 383 milioni di ospiti unici, perché in alcuni casi sembrerebbero essere presenti più record per lo stesso ospite.

Dalle stime e dalle rilevazioni effettuate dagli esperti, è stato inoltre possibile rilevare che molto probabilmente i dati coinvolti nell’incidente comprendevano circa 8,6 milioni di numeri di carte di pagamento unici, tutti crittografati; circa 5,2 milioni di numeri di passaporto unici non crittografati e circa 20,3 milioni di numeri di passaporti crittografati.

Per circa 327 milioni di ospiti potrebbero essere state sottratti dati sensibili quali: nome, indirizzo postale, numero di telefono, indirizzo e-mail, numero di passaporto, informazioni sull’account Starwood Preferred Guest (“SPG”), data di nascita, sesso, dati sull’arrivo e sulla partenza, data di prenotazione e preferenze di comunicazione.

Relativamente ai mezzi di pagamento, i dati attaccati e copiati sono stati sia i numeri delle carte di credito che le date di scadenza delle stesse. Solo che i numeri delle carte erano stati cifrati usando l’Advanced Encryption Standard (AES-128); e sarebbero stati necessari due componenti per decifrare i numeri delle carte stesse. Fino ad ora, però, dalle dichiarazioni rese da Marriott non è stato possibile dedurre se è possibile escludere che entrambi siano stati scoperti.

Al fine di porre rimedio all’accaduto, Marriott si è inoltre attivato per garantire ai titolari dei dati la possibilità di avere risposte tramite un sito Web dedicato e un call center (https://answers.kroll.com/); ha contattato via email tutti i clienti rimasti vittima del data breach ed ha offerto loro un servizio gratuito di monitoraggio contro il furto di identità.

Non dimentichiamo però che il primo attacco risale al 2014, ed il suo rilevamento cade nel 2018, quindi molti potrebbero essere già stati vittima di truffe, attacchi di phishing o furto di identità.

La data del 2014 è importante anche dal punto di vista giuridico, per il quale molteplici sarebbero le situazioni da analizzare. Bisogna considerare che la nuova normativa europea in materia di trattamento dati personali (Regolamento UE 2016/679 detto GDPR) non era ancora in vigore, mentre alla data in cui è stato scoperta l’intrusione lo era. Potrebbero esserci casi regolamentati dalla precedente normativa e casi ricadenti sotto il GDPR? Bisognerebbe approfondire! Ma non è questa la sede opportuna!

In questo momento la violazione dei dati di Marriott è sotto inchiesta in diversi paesi, e le autorità locali di ciascun paese sono interessate a partecipare come “autorità di vigilanza” nel quadro cooperativo del GDPR.

Le Autorità per la protezione dei dati personali dei vari Stati interessati dovranno accertare se nei confronti del Gruppo potranno essere applicate sanzioni, considerando che la sanzione più stretta potrebbe ammontare al 4% del fatturato (così come prevede il GDPR). Nel contempo non si esclude che molti clienti possano intraprendere azioni legali contro la società e richiedere un risarcimento che renderebbe il costo della violazione ancora più elevato.

È chiaro che al fine di evitare che si verifichino situazioni di questo tipo, prima di tutto bisogna fare il possibile per prevenire i data breach; possibilmente rendere tutti i processi in atto compliance al GDPR se si opera nello spazio UE, quindi ridurre il più possibile i rischi per gli utenti. Solo le strutture che agiscono nel modo giusto possono far sentire tutelati i loro ospiti, ed evitare di trovarsi ad affrontare situazioni così onerose e complesse (il rischio di incorrere nelle sanzioni amministrative e penali previste dalle normative degli Stati interessati; ed infine affrontare le richieste di risarcimento danni che possono inoltrare tutti gli interessati).

 

Luana Fierro
Dottore di ricerca in diritto pubblico dell’economia e dell’ambiente
Cultore della materia per il settore del diritto privato comparato, e per diritto dello sport
Fondatore del sito www.webcomparativelaw.eu

(il seguente articolo è stato pubblicato sul seguente sito: https://www.touristapp.info/data-breach-e-viaggiatori-colpito-un-colosso-del-turismo/?fbclid=IwAR1u39V0cx9Z3sG9pT54qcZ9Wv_5yBqiWPdGGvpxraU1PRw5zI6lyum5mLI )

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privacy law

I diritti dell’interessato nel GDPR

I diritti dell'interessato nel GDPR
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Il Reg. (UE) 2016/679 prevede molteplici diritti a favore dell’interessato: diritto alla portabilità dei dati, diritto alla cancellazione, diritto alla limitazione del trattamento, diritto di opporsi ad alcuni trattamenti fondati su alcune specifiche basi di legittimità

Dott.ssa Luana Fierro

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Ruoli e responsabilità nel Reg. UE 2016/679 GDPR

REGULATION (EU) N. 536/2014 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
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In queste slide andiamo ad analizzare tutte le figure previste dal Reg. UE 2016/679, gli obblighi ed i punti poco chiari.

REGOLAMENTO (UE) 2016/679 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 27 aprile 2016 ruota intorno ai seguenti ruoli: responsabile della protezione dei dati personali (DPO), titolare del trattamento, responsabile del trattamento. Andiamo a vedere in che modo devono relazionarsi tra loro.

Per consultare il testo normativo ufficiale entrare nel seguente link: https://commission.europa.eu/law/law-topic/data-protection/data-protection-eu_en

 

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Abiti difettosi e tutela del consumatore

Ignoranza o intenzionalità?

In data 6 gennaio, ho ricevuto in regalo un capo di abbigliamento acquistato presso il punto vendita Hey Dey di Campobasso (HEYDEY, FASCHION GROUP srl, Via Mazzini n. 61/63, 86100 Campobasso). Lo stesso giorno mi sono recata presso il punto vendita per sostituire il capo che risultava di taglia sbagliata (un cappottino), e data l’assenza della taglia richiesta, ho scelto un capo differente: una tuta bianca e nera (vedere foto).

Visto e considerato che il primo capo costava € 25,00 e la tuta 27.99, ho aggiunto la differenza di € 2,99.

Dopo alcuni giorni, ho lavato il capo perché avrei voluto indossarlo.

Dopo aver preso visione dell’etichetta interna al capo, l’unica contenente istruzioni per il lavaggio, e rilevato la possibilità di lavarlo a 20C°, procedevo al lavaggio all’interno di in una bacinella, con sapone neutro ed acqua fredda.

Al termine del lavaggio il capo mostrava la parte superiore, che inizialmente era bianca, ingrigita.

Molteplici sono stati i tentativi di sbiancarlo: sapone di marsiglia, strofinamenti ripetuti…l’effetto è stato solo quello riuscire a far scaricare un po’ di grigio alla tuta.

Alla luce di tutto questo, ho deciso di contattare il Servizio Clienti del negozio per avere qualche chiarimento e far presente l’accaduto.

Purtroppo l’azienda non ha un sito web, non ha un servizio consumatori individuabile, ma ha solo una pagina Facebook Hey Dey, una pagina Facebook Hey Dey Campobasso, ed una pagina Facebook Hey Dey Vairano. Ho provato a contattare la pagina FB Hey Dey, per ben due volte, ma ho solo ottenuto una risposta automatica.

A questo punto non restava che tornare nel punto vendita.

In data 20 gennaio sono tornata presso Hey Dey di Via Mazzini per far presente che il capo poteva essere difettoso, in quanto pur avendolo lavato in acqua fredda, esso si era macchiato – la parte bassa ha “contagiato” la parte bassa – e è diventato inutilizzabile: un grigio spento neppure uniforme.

A questo punto ho chiesto la sostituzione del prodotto con uno non difettoso, che non scaricasse colore in fase di lavaggio.

L’addetta alla vendita, una volta individuata la problematica ha contattato telefonicamente la responsabile, che non era presente nel punto vendita, e le ha fatto presente la questione.

La responsabile ha deciso di agire ignorando completamente la normativa a tutela del consumatore, come non fosse mai esistita. In pratica avrei dovuto tenere il capo difettoso, punto e basta! Un calcio a tutta la normativa sulla tutela del consumatore! E’ entusiasmante rilevare quanta considerazione abbia un cliente all’interno di questo punto vendita!

Tra l’altro avevo dimenticato di far presente che se avessi indossato il vestito senza lavarlo, avendo questi la capacità di perdere colore, esso avrebbe potuto rilasciare sostanze coloranti sulla mia pelle, ed un prodotto sicuro non dovrebbe fare questo!

Il produttore, laddove non potesse evitare una tale situazione, dovrebbe inserire un messaggio chiaro su un’etichetta, o un targhettino. Bisogna informare il cliente dell’esistenza di eventuali rischi a danno di persone o cose!

A quel punto le addette alla vendita hanno argomentato sostenendo che l’articolo avrebbe dovuto essere lavato velocemente, non sostare in una bacinella. In effetti io un po’ l’ho lasciato nella bacinella, ma questo dove è scritto? Chi avrebbe dovuto dirmelo? A me nessuno ha detto nulla in fase di acquisto!

Spesso ho letto etichette di articoli utilizzate per far presente il rischio di rilascio di colore in fase di lavaggio, o su abiti chiari indossati, ho letto etichette che consigliano di fare un primo lavaggio di un articolo con sale grosso, per fissare colori non ancora “raffinati”….

Nel mio caso nulla è scritto da nessuna parte, né le addette alla vendita mi hanno informata dei rischi!

Tra l’altro, un prodotto di media qualità non dovrebbe perdere colore così facilmente! Se il tessuto utilizzato per il nero ha un colore che non è stato fissato in fabbrica, lo stesso non può essere cucito insieme ad un tessuto bianco, che non è staccabile e deve essere lavato in blocco con la parte nera.

In conclusione:

  • sono state seguite le indicazioni relative al lavaggio: 20 C°;
  • il capo potrebbe essere pericoloso perché è in grado di rilasciare pigmenti di colore non segnalati,
  • sicuramente il capo è difettoso ed allo stato attuale è inutilizzabile per colpa non mia!

Il rivenditore Hey Dey di Campobasso dovrebbe sostituire l’articolo, o consentirmi la risoluzione del contratto, perché questo consentono le norme a tutela del consumatore!

A questo punto posso complimentarmi con la politica del punto vendita, che preferisce agire ignorando il problema!

 

Indicherò, di seguito, le norme poste a fondamento delle mie pretese.

 

Normativa

Direttiva 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2001, relativa alla sicurezza generale dei prodotti

Articolo 2 lett. B, lett. C:

“b) «prodotto sicuro»: qualsiasi prodotto che, in condizioni di uso normali o ragionevolmente prevedibili, compresa la durata e, se del caso, la messa in servizio, l’installazione e le esigenze di manutenzione, non presenti alcun rischio oppure presenti unicamente rischi minimi, compatibili con l’impiego del prodotto e considerati accettabili nell’osservanza di un livello elevato di tutela della salute e della sicurezza delle persone, in funzione, in particolare, degli elementi seguenti:

i) delle caratteristiche del prodotto, in particolare la sua composizione, il suo imballaggio, le modalità del suo assemblaggio e, se del caso, della sua installazione e della sua manutenzione;

ii) dell’effetto del prodotto su altri prodotti, qualora sia ragionevolmente prevedibile l’utilizzazione del primo con i secondi;

iii) della presentazione del prodotto, della sua etichettatura, delle eventuali avvertenze e istruzioni per il suo uso e la sua eliminazione nonché di qualsiasi altra indicazione o informazione relativa al prodotto;

iv) delle categorie di consumatori che si trovano in condizione di rischio nell’utilizzazione del prodotto, in particolare dei bambini e degli anziani. La possibilità di raggiungere un livello di sicurezza superiore o di procurarsi altri prodotti che presentano un rischio minore non costituisce un motivo sufficiente per considerare un prodotto come «non sicuro» o «pericoloso»;

c) «prodotto pericoloso»: qualsiasi prodotto che non risponda alla definizione di «prodotto sicuro» di cui alla lettera b);”

(Il prodotto, rilasciando pigmenti di colore, potrebbe essere pericoloso per la salute umana, bisognerebbe verificare se siamo sotto o sopra la soglia tollerata dalle normative).

 

Direttiva 85/374/CEE: responsabilità sul prodotto

Articolo 6

“1 . Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui : a) la presentazione del prodotto, b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, c) il momento della messa in circolazione del prodotto.”

 

Codice del Consumo – Italia – ARTICOLO N.130 (1) – Diritti del consumatore

“1. Il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità’ esistente al momento della consegna del bene.

2. In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma dei commi 3, 4, 5 e 6, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto, conformemente ai commi 7, 8 e 9.

3. Il consumatore può chiedere, a sua scelta, al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all’altro.”

 

ARTICOLO N.132 – Termini

“1. Il venditore è responsabile, a norma dell’articolo 130, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene.

2. Il consumatore decade dai diritti previsti dall’articolo 130, comma 2, se non denuncia al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto. La denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del difetto o lo ha occultato.

3. Salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità.

4. L’azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore si prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi dalla consegna del bene; il consumatore, che sia convenuto per l’esecuzione del contratto, può tuttavia far valere sempre i diritti di cui all’articolo 130, comma 2, purché il difetto di conformità sia stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e prima della scadenza del termine di cui al periodo precedente.

5. Ai fini di cui al comma 3 è da considerare eccessivamente oneroso uno dei due rimedi se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all’altro, tenendo conto:

a) del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità;

b) dell’entità del difetto di conformità;

c) dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore.

6. Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene.

7. Le spese di cui ai commi 2 e 3 si riferiscono ai costi indispensabili per rendere conformi i beni, in particolare modo con riferimento alle spese effettuate per la spedizione, per la mano d’opera e per i materiali.

8. Il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni:

a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose;

b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 5;

c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore.

9. Nel determinare l’importo della riduzione o la somma da restituire si tiene conto dell’uso del bene.

10. Dopo la denuncia del difetto di conformità, il venditore può offrire al consumatore qualsiasi altro rimedio disponibile, con i seguenti effetti:

a) qualora il consumatore abbia già richiesto uno specifico rimedio, il venditore resta obbligato ad attuarlo, con le necessarie conseguenze in ordine alla decorrenza del termine congruo di cui al comma 5, salvo accettazione da parte del consumatore del rimedio alternativo proposto;

b) qualora il consumatore non abbia già richiesto uno specifico rimedio, il consumatore deve accettare la proposta o respingerla scegliendo un altro rimedio ai sensi del presente articolo.

11. Un difetto di conformità di lieve entità’ per il quale non è stato possibile o è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non da diritto alla risoluzione del contratto.”

 

DOMANDA FINALE

Procediamo per vie legali?

Sicuramente dovremo pubblicizzare l’accaduto affinché tutti i consumatori comprendano i rischi che corrono acquistando in quel negozio!

Considerando poi che siamo nell’era dei Social Media, credo sia opportuno diffondere le immagini relative al prodotto!

 

NEI GIORNI SUCCESSIVI

“Nei giorni successivi sono riuscita ad entrare in contatto con l’azienda FASCHION GROUP srl, dopo aver rintracciato la loro PEC. Il responsabile alle vendite si è detto rammaricato per lo spiacevole inconveniente, e mi ha chiesto di riportare il capo al punto vendita di Campobasso, per consentire all’Azienda di agire nei confronti dei propri fornitori. Infine il responsabile ha acconsentito alla risoluzione del contratto.

La migliore soluzione a questo spiacevole inconveniente.

Non mi resta che ringraziare la HEYDEY, FASCHION GROUP srl, Via Mazzini n. 61/63, 86100 Campobasso, che ha optato per la soluzione più giusta ed ha dimostrato che la soddisfazione del cliente e la tutela del consumatore è un punto fermo.

Ricordatevi sempre di far valere i vostri diritti!”

 

Dott.ssa Luana Fierro